lunedì 9 febbraio 2009
Ha smesso di respirare e chiuso gli occhi, Eluana. Per sempre. Alle 20.25 di ieri le agenzie di stampa hanno battuto la notizia della sua morte. Ecco le tappe silenziose dei suoi ultimi 17 anni di vita, e quelle della drammatica vicenda giudiziaria e istituzionale che li ha segnati. Fino a ieri.
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È il 18 gennaio del 1992: dopo una bella serata con gli amici, Eluana torna a casa in macchina. Improvvisamente la sbandata, lo schianto. La ragazza viene ricoverata in tutta fretta a Lecco, dove vive. La diagnosi è di quelle che non lasciano scampo: gravissimo trauma cranico, coma profondo. Eluana poco più di ventun’anni, nel cassetto sogni, progetti, l’università appena iniziata è a un passo dalla morte. Non fosse per le tecniche di rianimazione, che consentono ai medici di salvare la vita della ragazza. Le condizioni del suo cervello, tuttavia, sono compromesse: Eluana entra in stato vegetativo, la condizione clinica caratterizzata dalla ripresa della veglia, ma senza contenuto di coscienza. È l’inizio di tutto. Da una parte il percorso clinico di Eluana. Lo stato vegetativo è ancora una selva oscura per la medicina dell’epoca, le unità di risveglio dove questi pazienti vengono trattati oggi, con notevoli margini di successo sono pressoché inesistenti nel nostro Paese. A dodici mesi dall’incidente la diagnosi viene dichiarata definitiva: la ragazza è in stato vegetativo permanente. Eluana viene trasferita alla casa di cura "Beato Luigi Talamoni" di Lecco, retta dalle suore Misericordine. Lì è ricoverata, e accudita con amore, da diciassette anni. Lì vive, si addormenta e si risveglia ogni giorno, le sue funzioni corporee si mantengono intatte.Dall’altra parte si consuma il percorso della famiglia della ragazza, in particolare di suo padre Beppino. Che non ci sta: secondo quanto sostiene l’uomo la ragazza gli avrebbe confidato, quando era ancora in vita, di non voler vivere in quelle condizioni. Dopo aver avviato con successo il percorso di interdizione, Beppino diventa il tutore di Eluana e nel 1999 avvia la sua lunga odissea giudiziaria: obiettivo, far sì che la ragazza "possa morire". Una procedura inammissibile, nel nostro Paese, dove l’eutanasia è impraticabile: senza contare che le condizioni fisiche della ragazza, stabili dopo il decorso del trauma cranico, imporrebbero che la morte soppraggiungesse per fame e per sete, visto che Eluana vive grazie all’alimentazione e l’idratazione artificiali. In quell’anno arrivano i primi rifiuti dei tribunali: dopo quello di Lecco, anche la Corte d’appello di Milano rigetta le richiesta di interruzione delle cure. Beppino Englaro non si arrende e nel 2003, dopo un nuovo appello alle autorità giudiziarie, la Corte d’Appello del Tribunale civile di Milano per la seconda volta dichiara inammissibile il suo ricorso di Englaro. Stesso responso è la terza volta nel dicembre del 2006.La svolta arriva il 16 ottobre del 2007, quando la Corte di Cassazione accoglie i ricorsi e dispone un nuovo processo per il caso Englaro: secondo la Suprema Corte nel procedimento dovranno essere tenuti in conto due elementi, determinanti per autorizzare l’interruzione dell’alimentazione alla ragazza di Lecco: l’irreversibilità assoluta dello stato vegetativo della ragazza e la certezza della sua volontà di non essere curata. Sono i punti su cui pochi mesi dopo, nel luglio scorso, la Corte d’appello di Milano cambia improvvisamente idea, accettando la richiesta di Beppino e disponendo che la ragazza possa essere lasciata morire. A entrare in campo è la Procura generale di Milano, con un ricorso contro la sentenza della Corte d’appello, e il Parlamento, che per la prima volta nella storia della Repubblica solleva un conflitto d’attribuzione, contestando alla Corte di Cassazione l’invasione indebita nelle sue competenze. I due tentativi vengono bocciati: il primo dalla stessa Cassazione, il secondo dalla Corte Costituzionale. Inutile anche il tentativo di alcune associazioni che rappresentano i pazienti in stato vegetativo e che inviano un ricorso alla Corte Europea. Strasburgo rigetta le richieste: il caso non è di sua competenza. Inizia la ricerca di una struttura dove rendere esecutiva la sentenza: a Lecco, infatti, e in tutta la Lombardia Eluana non può essere lasciata morire per una disposizione votata dalla giunta regionale, per cui ospedali e hospice sono luoghi di vita, dove nessun paziente può essere fatto morire. A dare la sua disponibilità è alla fine una clinica privata di Udine, terra natìa del padre di Eluana: il 16 dicembre tutto e pronto e la ragazza sta per essere portata via da Lecco, quando entra in campo una direttiva del ministro del Welfare Maurizio Sacconi. L’atto di indirizzo proibisce a ogni struttura ospedaliera di togliere alimentazione e idratazione artificiali ai pazienti in stato vegetativo su tutto il territorio nazionale (pena ...). E blocca tutto.Non basta ancora. A farsi avanti, stavolta, è un’altra clinica di Udine, “La Quiete”. All’inizio sembra che anche per quest’ultima possa valere l’atto di indirizzo di Sacconi, ma qualcosa è cambiato: la clinica, privata, rende immediatamente esplicita la sua determinazione a portare avanti le ragioni del padre, e a eseguire la sentenza della Corte D’Appello di Milano. La situazione precipita: Eluana improvvisamente, la notte tra il 2 e il 3 febbraio, viene trasferita da Lecco a Udine. Lì avrà inizio il protocollo «sanitario» inventato apposta per lei. Per farla morire. Quello che è successo, in circostanze ancora da chiarire, stasera.
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